Troppi cesarei in Italia, Giovanni Monni: “Ginecologi e ostetriche non sanno più assistere i parti naturali”

Troppi cesarei in Italia, Giovanni Monni: “Ginecologi e ostetriche non sanno più assistere i parti naturali”

Dopo i recenti casi dei policlinici di Roma, con un neonato morto a poche ore dalla nascita, e di Messina, con madre e figlio che hanno rischiato la vita dopo il parto, gli italiani si domandano cosa stia succedendo nei reparti maternità degli ospedali nazionali. I sospetti, tutti da verificare, nascono dal fatto che all’origine dei problemi ci sarebbero presunte liti sull’opportunità o meno di eseguire un parto cesareo, tema che ha fatto tornare di grande attualità il numero, assolutamente sproporzionato rispetto all’estero, di tagli cesarei nel Belpaese. Abbiamo chiesto lumi al professor Giovanni Monni, primario di ostetricia e ginecologia all’Ospedale Microcitemico di Cagliari e presidente dell’Aogoi (Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani).

Professor Monni i dati testimoniano che in Italia si fa un ricorso esagerato al parto con taglio cesareo: l’Oms ci chiede di scendere al 15% rispetto al nostro 37.8%. Ma all’interno di questa media nazionale si tocca il 60% di cesarei al Sud (il 78% nelle strutture private). Ci spiega il perché di queste differenze visto pure che fino al 1980 la percentuale era dell’11%?
“Prima del 1980, l’età media della donna al parto era intorno ai 28 anni. Attualmente le italiane partoriscono la prima, e il più delle volte l’unica volta, a una età media di 35 anni. Quindi meno parti e quei pochi in donne più anziane, il che rende le gravidanze molto preziose, spesso ottenute dopo fecondazione assistita, con un aumento delle patologie materne. Inoltre il migliore monitoraggio clinico e strumentale della gravidanza al momento attuale dà la possibilità di mettere in evidenza situazioni patologiche che prima non venivano evidenziate, per le quali si procede con un parto cesareo. Ci sono donne più anziane, con maggiore frequenza di gravidanze patologiche, che richiedono il taglio cesareo su indicazione medica, con evidenza scientifica provata di beneficio con questa modalità di parto per la donna e per il nascituro. A questo bisogna aggiungere che l’esecuzione di un cesareo, spesso viene seguito da una ripetizione nella gravidanza successiva.”

La causa di una percentuale così alta può essere imputabile alla sola età media delle partorienti?
“Bisogna anche considerare che attualmente la manualità dei ginecologi e delle ostetriche nell’assistenza al parto spontaneo e nelle manovre ostetriche in casi complicati, che in passato veniva acquisita durante il normale percorso di studio, si è irrimediabilmente persa per la mancanza di maestri nelle cliniche universitarie negli ultimi decenni. Le gravidanze sono poche e preziose, sottoposte nella maggior parte dei casi ad una eccessiva medicalizzazione. Spesso è la stessa coppia che, al di la di ogni evidenza scientifica, insiste per il parto cesareo. Si comprende come in una situazione in cui il contenzioso medico legale è in aumento esponenziale, il ginecologo sia portato più o meno inconsciamente, ad una medicina difensiva che, in questo caso particolare, è interventistica.”

Dai dati risulta pure che, dei cesarei, il 34% è effettuato negli ospedali pubblici, il 62% in case di cura accreditate. Ci spiega come funziona il sistema dei finanziamenti agli enti pubblici e dei rimborsi a quelli privati per ogni parto naturale e per ogni intervento cesareo?
“Il rimborso per il parto è simile nell’ospedale pubblico e nelle cliniche private convenzionate. Il taglio cesareo costa per la sanità 494,54 euro in più rispetto al parto spontaneo.”

In definitiva chi guadagna dal cesareo?
“In termini economici nessuno se non in termini di tempo che per il travaglio di parto spontaneo è molto maggiore.”

Fra le motivazioni addotte dai medici per l’eccessivo ricorso al cesareo vi sono: evitare problemi legali (paura di richieste di risarcimento), carenze organizzative nelle strutture ospedaliere, carente formazione per il parto naturale, maggiore comodità nella programmazione del cesareo piuttosto che attendere i tempi di un parto naturale che possono capitare pure di notte o nei fine settimana. Quali dovrebbero essere in realtà i motivi per effettuare l’intervento?
“Le indicazioni assolute per il taglio cesareo sono: alcune malformazioni fetali, mancato impegno del bambino nel canale da parto, presentazioni anomale, sofferenza fetale grave rilevate dal tracciato cardiotocografico, sproporzione feto-pelvica, alcune patologie materne, distacco di placenta o placenta male inserita, macrosomia fetale, forti disturbi visivi materni. Esiste anche la richiesta della madre al taglio cesareo e poi tante altre situazioni in cui l’evidenza scientifica di beneficio è meno forte ed è affidata al ginecologo la decisione.”

Le risulta che in Italia un ginecologo ostetrico su 4 sia indagato per responsabilità professionale?
“L’ostetrico che lavora in sala parto e in ecografia è sicuramente molto più esposto a contenziosi medico legali. Ogni anno le richieste di risarcimento in sede civile aumentano esponenzialmente. E’ vero che il 90% dei contenziosi si risolvono con l’assoluzione del medico.”

Secondo lei cosa devono fare le istituzioni perché le percentuali di cesareo tornino a livelli normali seguendo le indicazioni dell’Oms?
“Non è facile in Italia scendere ai livelli indicati dall’Oms anche se in molti ospedali si cerca di abbassare i livelli. Voglio ricordare che il taglio cesareo è sempre un intervento chirurgico non scevro da rischi fetali e materni. Le istituzioni dovrebbero favorire la parto analgesia (parto indolore) e una maggiore informazione e cultura dell’evento nascita con maggiori finanziamenti dei Centri di preparazione al parto e con una maggiore attenzione degli aspetti psicologici.”

E, in particolare, cosa fa l’associazione da lei presieduta?
“L’Aogoi, che con i suoi 5500 iscritti è la più grande società scientifica italiana, è direttamente impegnata con le istituzioni ed è sempre in prima linea nelle commissioni a cui spesso partecipa (Senato, Camera dei Deputati, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Regioni, Ministro delle Pari Opportunità, e degli Affari Costituzionali), elabora linee guida e protocolli nelle maternità e sale parto, organizza monitoraggio, audit, tutoraggio in Centri Ospedalieri specializzati, corsi e convegni di “risk managment” per cercare di limitare l’abuso del ricorso al taglio cesareo che spesso è dovuto a carenza strutturali e di organico e alla scarsa preparazione pratica, soprattutto di giovani medici specializzandi e ostetriche che si trovano spesso in prima linea ma non sufficientemente preparati dalle università italiane. Inoltre l’Aogoi aiuta i propri iscritti con una polizza assicurativa di 1 milione di euro e presso il sito è sempre disponibile un operatore che può venire in aiuto dei giovani colleghi. Vi è poi Mamma Aogoi (Movement Against Medical Malpractice and Accident) strumento per risolvere le problematiche medico legali. Insieme al braccio sindacale dell’Aogoi, la Fesmed opera in continua assistenza per gli iscritti.”

Molti medici scelgono il cesareo perché comporta meno rischi? Ma meno rischi per chi? Per il medico, per la madre o per il bambino?
“Il cesareo non comporta meno rischio per la madre ma al contrario essendo un intervento chirurgico con anestesia comporta rischi maggiori. La morbilità materno-fetale è più alta (ipertermia, emorragie, complicanze di cicatrizzazione, isterectomia e terapia intensive), comporta maggiore degenza in ospedale e può portare a successivi tagli cesarei. Esistono poi rischi dell’anestesia e maggiore rischio di emorragia materna.”

I dati Sigo parlano di un 27% di donne che lo chiede senza reale indicazione medica. È possibile che si esercitino su di loro pressioni psicologiche paventando rischi futuri? È possibile si speculi sulla pelle delle donne?
“Benché questo sia possibile per la grande vulnerabilità psicologica delle gravide nel momento del parto non credo che il medico coscienzioso utilizzi questo suo potere condizionante.”

Si parla di un test sull’acido lattico del liquido amniotico per predire il tipo di parto. È davvero efficace? Aiuterebbe ad abbassare la famosa percentuale?
“Questo è uno dei nuovi tanti test che potrebbe predire il tipo di parto che è però influenzato da tante altre variabili, inoltre tale test all’acido lattico dovrebbe essere testato su molte più donne e in molti più centri ospedalieri prima di essere utilizzato su larga scala nelle maternità.”

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