Obiezione di coscienza: Com’è regolata in Italia

L’obiezione di coscienza sull’interruzione volontaria di gravidanza è regolata dall’articolo 9 della legge 194 del 1978, che ha legalizzato l’aborto. Il suo presupposto è la legge 772 del 1972 che ha riconosciuto il diritto all’obiezione per ogni cittadino, a partire da quello per l’allora servizio militare obbligatorio, successivamente modificata. L’esercizio dell’obiezione di coscienza da parte di medici e personale sanitario, in caso di richiesta di aborto da parte di una donna, fa però riferimento alla sola legge 194. E se ne occupa anche il codice deontologico della professione medica, approvato, in un’apposito articolo dedicato all’argomento.

“Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie – dice l’articolo 9 della 194 – non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”. “La dichiarazione dell’obiettore – precisa la norma – deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni”.

Una volta che un medico si dichiara obiettore può però anche tornare sui suoi passi. Infatti l’articolo 9 prevede che l’obiezione possa sempre essere “revocata”. “L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma – recita la norma – ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale”.

Scorrendo l’articolo 9 della 194, si legge ancora che “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Non solo: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8 (modalità con cui eseguire l’aborto) – precisa la norma – la Regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.

Infine, “l’obiezione di coscienza non può essere invocata quando, data la particolarità delle circostanze, l’intervento del personale sanitario è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. E si intende revocata, con effetto immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente”. Quanto al Codice deontologico dei medici, l’articolo 43 sull’interruzione volontaria di gravidanza stabilisce che “l’obiezione di coscienza del medico si esprime nell’ambito e nei limiti della legge vigente e non lo esime dagli obblighi e dai doveri inerenti alla relazione di cura nei confronti della donna”.

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